Il nostro simbolo
Il crocifisso nella missione
La scultura “Il Crocifisso” realizzata a intaglio ligneo, dello scultore Walter Pancheri di Ortisei (Bolzano), mostra plasticamente la “sindone”, emblema di ogni umana sofferenza.
Per la Fondazione Fevoss “Santa Toscana” l’immagine della tela-Sindone, con cui è stato ricreato il corpo di Cristo sulla Croce, esprime concretamente la missione che si è data: prendersi cura della persona in difficoltà, circondandola con le sue iniziative e i suoi servizi, per darle sostegno e conforto.
Perciò la Fondazione Fevoss “Santa Toscana” intende assumere l’opera artistica come simbolo concreto del suo operare. Con tale nobile finalità d’intenti essa chiede un aiuto alla generosità delle persone: si cercano benefattori mossi dalla compassione e mecenati ispirati dalla bellezza dell’arte.
L’iconografia cristiana rappresenta nel crocifisso il sacrificio estremo, l’atto salvifico che rende l’uomo libero dal male e gli permette di maturare e realizzarsi. La crocifissione è un’immagine profondamente viva anche nell’arte contemporanea. Essa può suscitare in chi la contempla stati d’animo ed emozioni profonde.
Tale espressione artistica offre più significati. Ogni persona può vedere se stessa all’interno del “sudario”, per cercarvi conforto nei propri problemi esistenziali. È come se ciascuno potesse sentirsi avvolto da Cristo e in esso trovare la forza per superare le difficoltà nelle quali si dibatte.
La scultura di Pancheri si stacca notevolmente dall’iconografia della croce, il simbolo per eccellenza dei cristiani. Mancano, infatti, gli elementi fondamentali: i due tronchi di legno (il verticale, in latino stipes, e l’orizzontale, chiamato patibulum) e il corpo appeso, per riconoscere nel manufatto la rappresentazione simbolica della crocifissione di Gesù. Mancano pure tutti gli altri oggetti che contornano l’uomo sulla croce nelle innumerevoli raffigurazioni. Essi sono, dall’altro in basso: l’assicella con il titulus crucis (l’iscrizione con la motivazione della condanna), i chiodi, il perizoneum (il lenzuolo che copre i fianchi); la corona di spine, il suppedaneum (il panchetto sagomato sul quale il condannato poteva poggiare i piedi) e, sulla terra, il teschio di Adamo (per simboleggiare la redenzione dal Peccato originale operata da Gesù). L’essenziale scultura di Pancheri è realizzata da soli due elementi: una sottile cornice di tiglio cruciforme e un lenzuolo acrilico disteso. Questo segue l’andamento sinuoso di un corpo crocifisso alla guisa dei grandi crocifissi di Cimabue e Giotto. La nobile curvatura della tela ricalca la postura di tale corpo col capo chino, ormai privo di vita, assegnando alla stessa un movimento elegante. L’unica nota di colore è il rosso carminio del sangue che fuoriesce dalla tela lacerata nella zona corrispondente al costato. La maestria di Pancheri si nota nell’originale sottolineatura teologica: gli basta una semplice sottile cornice di legno e una tela arricciata ad arte per permettere di identificare l’opera come una rappresentazione di Gesù in croce. La scultura sembra andare oltre: il lenzuolo di lino (in greco σινδών, sindone), che sostituisce il corpo, collega la sua morte alla successiva, pietosa sepoltura. Oltre ciò, la scomparsa del corpo è in linea con una riflessione teologica dei primi secoli del cristianesimo: il morire di Gesù, come gesto supremo di amore senza condizioni, contiene in sé il germe della sua Vita piena; ed è l’istante in cui la sua Presenza travalica, e per sempre, i legami dello spazio e del tempo. Il «disonor del Golgota» (Alessandro Manzoni, Cinque Maggio, v. 101), causato dalla più crudele delle esecuzioni, diventa paradossalmente la più alta espressione della vicinanza di Dio all’umanità sofferente. L’amore e il perdono incondizionato di Gesù in croce si contrappongono al male dell’uomo e all’efferata crudeltà della crocifissione, ombreggiata con grazia da questa scultura che, nell’assenza del Corpo, ne evoca la Risurrezione.
“O felix culpa quia nobis meruisti crucem” che significa “Oh felice colpa che ci hai meritato la Croce”, che è un paradosso agostiniano ripreso e interpretato dall’artista Walter Pancheri in un’accezione moderna e originalissima. Il Crocifisso etereo nelle sue trasparenze offre molto da meditare per i suoi tanti controfattuali; dall’assenza del cartello INRI a quella dei chiodi. Ma c’è di più. Non s’è mai vista in tutta la storia dell’arte un legno esile e trasparente, così come non si è visto un Crocifisso ricoperto in parte dal Sudario. Dov’è la ripresa del paradosso? Il popolo che gridava “crocifiggilo” non sapeva che il legno su cui sarebbe stato affisso l’Innocente era costituito proprio da loro stessi, dalle loro ignominie e da quelle di tutta l’umanità. Così quel legno trasparente dell’artista sta a rappresentare il sottrarsi di ogni vivente dalle colpe di tutti i tempi: in quel legno mancano proprio tutti coloro che quotidianamente hanno immolato il Santo dei Santi. Rimane la sparuta sagoma dell’intelaiatura, ovvero la Chiesa che cerca di contenere gli spazi infiniti della colpa di ognuno nei limiti della grandezza di un legno di solito aduso a quel martirio della carne. In quei vuoti ci siamo tutti noi che quotidianamente rifuggiamo dalle nostre responsabilità e dalle nostre precise sofferenze con la Carne di Cristo. Non ci siamo su quella Croce perché non vogliamo accettare di condividere con Lui la passione e la morte a noi stessi, benché la Chiesa richiami ognuno ad assumere il proprio posto su quella Croce e a morire a noi stessi con Lui essendo insieme carnefici e sacrificati con Lui nell’intreccio sacro con le sue Membra e col suo Sangue. Quei vuoti sono dunque paradossali: sono un richiamo a compiere la nostra vocazione di colpevoli redenti dalla Sua assenza Presente. Sì Presente, perché il Sudario è invece intessuto da tutti i martiri, ossia testimoni della Misericordia che la Croce appunto compie per tutti coloro che poco o tanto si sono inclinati e stesi volontariamente sulla Croce per vivere con Lui il commercio salvifico non di se stessi, ma dell’intera Umanità. Ecco perché il Crocifisso di Walter Pancheri è opera dello Spirito che gli ha suggerito un nuovo modo di rappresentarci insieme i Misteri essenziali della Redenzione intrisa di Misericordia.
Verona, 14 agosto 2017
Ciao Alfredo,
ti mando quello che ricordo di quanto abbiamo discusso l’altro giorno. Si vede la cornice di una croce. Dentro c’è un Lenzuolo con dei segni rossi che copre un volume sconosciuto. Che cosa c’è lì sotto? La nostra cultura cristiana ci dice che c’è Gesù Cristo, ma non è così. Gesù è risorto; lì sotto c’è qualche cosa di diverso; è il corpo di un essere umano che ha bisogno di aiuto. Una persona che è stata in croce: un carcerato, un migrante, un emarginato. Un senzatetto, un ammalato, un compagno di lavoro.
Cristo lo posso riconoscere in tutti quelli che hanno bisogno della mia compassione. Come nella storia del Buon Samaritano: un uomo qualunque ci aiuta a conoscere Gesù. La Croce poi è diritta, eretta. Chi c’è dietro a questo lenzuolo può avere tutte le ossa spezzate, ma è lì, in piedi, ritto: la sua dignità rimane tutta intera. E questa è l’immagine del “volontario” nella Fondazione Fevoss “Santa Toscana”, qualcuno capace di intervenire e di riconoscere se stesso nello sconosciuto che ha di fronte.
Domenico – (a casa)
Verona, 26 agosto 2017
Domenico morente con un fil di voce quasi impercettibile ha voluto lasciarmi questo ulteriore chiarimento: dietro quel telo ci sono anch’io. La rappresentazione “di quel crocefisso” ci dice l’importanza del dono, perché dietro la nostra polvere c’è Qualcos’altro…
(in ospedale “Polo Confortini” Unità Operativa di Cardiologia. Testimoni: Sira, Giovanni, Chiara e Sara)
Verona, 28 agosto 2017 h 15,00
Domenico è in cielo… poco fa ci ha lasciato. – (Sira)
L’iconografia cristiana rappresenta nel crocifisso il sacrificio estremo, l’atto salvifico che rende l’uomo libero dal male e gli permette di maturare e realizzarsi. La crocifissione è un’immagine profondamente viva anche nell’arte. Essa può suscitare in chi la contempla stati d’animo ed emozioni profonde. La scultura “il Crocifisso” realizzata a intaglio ligneo dallo scultore Walter Pancheri in Ortisei (in legno di tiglio e colore acrilico, cm 156×126), mostra plasticamente la sola “sindone” emblema di ogni umana sofferenza. Tale espressione artistica offre più significati. Ogni persona può vedere se stessa all’interno del “sudario” per cercarvi conforto dei propri problemi esistenziali.
È come se ciascuno potesse sentirsi avvolto da Cristo e in Esso trovare la forza per superare le difficoltà nelle quali si dibatte.
Per la Fondazione Fevoss “Santa Toscana” l’immagine della tela-Sindone esprime concretamente la missione che si è data: prendersi cura della persona in difficoltà, circondandola con le sue iniziative e i suoi servizi, per darle sostegno e conforto, rispettandone i diritti umani fondamentali e costituzionali.
Perciò la Fondazione Fevoss “Santa Toscana” intende assumere l’opera artistica come simbolo concreto del suo operare. Con tale nobile finalità d’intenti essa chiede un aiuto alla generosità della gente che crede possibile sostenere progetti di vita per la persona nella sua globalità: si cercano benefattori mossi dalla compassione e mecenati ispirati dalla bellezza dell’arte che esorta alla fraternità e operatori che rendano possibile concretamente la nostra missione.
Peregrinatio della Statua di Maria Madre del Dono
Un pellegrinaggio in 23 tappe nei luoghi di preghiera (Clicca qui per guardare la gallery), nelle case di cura, nelle periferie umane, per portare alle persone il dono della consolazione e della speranza. Un viaggio che, dal 4 ottobre 2018 all’11 febbraio 2019, ha compiuto Maria Madre del Dono: una Madonna con bambino realizzata dallo scultore Flavio Pancheri e terminata alla sua morte dal figlio Walter Pancheri di Ortisei (Bolzano) e donata dalla famiglia alla Fondazione Fevoss Santa Toscana di Verona, che ne ha fatto per la dolce espressività il suo riferimento istitutivo, quello dell’economia del dono quale forma di partecipazione alla vita della comunità umana. Oggi quella “peregrinatio Mariae”, che ha preso il via simbolicamente nella data in cui si celebra la Giornata nazionale della Donazione e si è conclusa altrettanto significativamente nel giorno che ricorda Nostra Signora di Lourdes, diventa un libro, «Nel segno di Maria madre del dono», dato alle stampe da Edizioni Zerotre.
«L’immagine di Maria suscita sentimenti di serenità, consolazione, conforto, compassione e forse in qualcuno anche il risveglio dei valori della fede, della speranza e dell’Amore», spiega Alfredo Dal Corso, presidente di Fondazione Fevoss Santa Toscana, autore del testo insieme a Franco Larocca, già ordinario di pedagogia Speciale all’università di Verona e responsabile della formazione nella Fondazione. «Da qui la decisione di raccontare la storia che si è realizzata attraverso la bellezza di un’opera d’arte scolpita su legno tanti anni fa, forse per scaldarci il cuore».
Dopo alcuni giorni trascorsi per l’adorazione nei quattro monasteri veronesi, quello delle Suore Sacramentine, delle Carmelitane Scalze, delle Serve di Maria Oblate Sacerdotali e delle Sorelle Povere di Santa Chiara, e all’istituto Gresner con le suore della Compagnia di Maria, la sacra effigie ha quindi raggiunto Roma, dove in piazza San Pietro ha ricevuto la benedizione del Santo Padre Papa Francesco (Clicca qui per guardare la gallery) al termine dell’Udienza Generale del 21 novembre 2018, per poi proseguire il pellegrinaggio al Santuario di Maria Stella dell’Evangelizzazione di Cerna a Sant’Anna d’Alfaedo, in diverse residenze per anziani della provincia, all’ospedale Don Calabria Sacro Cuore di Negrar, all’Ospedale della Donna e del Bambino a Borgo Trento e nelle strutture ospedaliere dell’Ulss 9 Scaligera, che ha aderito immediatamente all’iniziativa promossa dalla Fondazione Fevoss Santa Toscana.
La statua, ora conservata nella Chiesa di San Fermo a Verona, resta a disposizione di chi la richiede per essere ospitata presso i luoghi di culto e cura; per la copertura dei relativi costi, viene richiesta una libera offerta.
Monumento al Cittadino Solidale – Porta Vescovo (Verona)
Scultore: Nicola Beber di Verona
Fonderia: F.lli Folla di Dossobuono
Materiale: bronzo statuario a cera persa
Committente: Fevoss “Federazione dei servizi di volontariato socio sanitario” onlus
Inaugurazione: 26 ottobre 2013
Il 26 ottobre 2013 vicino a Porta Vescovo, Verona, Fevoss, in collaborazione con le associazioni di volontariato, ha inaugurato il monumento al cittadino solidale “Vortice d’amore”, unico al mondo, opera dello scultore Nicola Beber.
L’opera rappresenta una grande mano aperta: la mano di Dio, che sostiene altrettante mani generose che si incontrano, si intrecciano, si sostengono l’una con l’altra nel vortice delle buone azioni fino a ricreare il movimento benefico della solidarietà.
Sono mani generose da prendere ad esempio nell’agire quotidiano. La solidarietà anonima è occasione di riscatto e innalza l’animo umano verso il prossimo, rappresentato dalle mani che si dischiudono.
Una metamorfosi che culmina nella forma di una colomba che spicca il volo verso Gerusalemme, città “a fondamento della pace”.